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[Kataweb Musica] Coldplay a Roma - periodo post AROBTTH

In un pomeriggio assolato, i Coldplay si rilassano nel giardino dell'albergo che li ospita, a pochi passi da Piazza del Popolo. I clacson e il chiacchiericcio dei turisti restano fuori, una lontana eco. Corvi neri impagliati piantati sui tavolini vigilano immobili sui drink tenendo a debita distanza la minaccia che incombe dall'alto (piccioni et similia). La band ha concluso da poco il soundcheck al Foro Italico quando si presenta davanti alle penne e ai microfoni dei media italiani. A Rush Of Blood To The Head, il disco della consacrazione, è uscito da quasi un anno e il gruppo non è qui per fare promozione, ma trova il modo di concedersi comunque. Mentre l'ambito Chris Martin viene monopolizzato dai quotidiani, noi parliamo con Guy Berryman, bassista, che ci racconta le tappe di un anno forse irripetibile.

Guy, sei l'unico scozzese in una band di inglesi. Come immaginavi la tua vita quando andasti a Londra per il college?

In realtà, tutti noi siamo andati al college per incontrare altri musicisti, abbiamo avuto la stessa idea. E direi che siamo stati fortunati.

Oggi i Coldplay sono star del rock. Quali pensieri, quali sensazioni attraversano oggi la tua mente e, in generale, la band?

Siamo molto felici di essere arrivati fin qui e di essere quel che siamo. Quando ci siamo uniti, desideravamo diventare una band di successo.

Il lato peggiore del successo...

Non ci si può davvero lamentare di una vita così. Siamo sempre in giro per il mondo, è davvero difficile individuare qualcosa di cui lamentarsi. Per quanto mi riguarda, il lato negativo è che in alcuni alberghi non puoi bere una 'soda' quando ti pare, una delle cose che mi fa sentire meglio.

Stasera suonerete a Roma. Le recensioni dei vostri ultimi concerti raccontano di nuovi pezzi proposti dal vivo. In particolare, un up-tempo privo di titolo (con Chris Martin alla chitarra elettrica) e una ballata in perfetto stile Coldplay, Moses. Puoi dirmi qualcosa sulla direzione che sta prendendo la vostra musica?

Sì, stiamo già pensando al prossimo album. Entreremo in studio alla fine dell'anno, verso novembre o dicembre, e abbiamo già diverse canzoni e buone idee su cui lavorare. Alcune le abbiamo proposte dal vivo, come hai detto. Sarà un album sicuramente diverso dal precedente, non abbiamo nessuno intenzione di fare la stessa cosa per due volte di seguito. Il suono dei Coldplay cambierà.

In che misura?

E' difficile da spiegare, la musica va ascoltata. Ci saranno canzoni più veloci, up-tempo. Parachutes, il nostro primo album, era molto lento. A Rush Of Blood To The Head è più veloce. Il terzo lo sarà ancora di più, ma sempre ricco di melodia.

Chris Martin descrisse A Rush Of Blood To The Head come "un diario dei sentimenti, delle paure e delle speranze" relativo al periodo in cui il disco fu registrato. Dopo un anno per voi straordinario, successo e premi in Europa e America, quali sentimenti finiranno nel prossimo disco?

I nostri dischi toccano un po' tutti gli stati d'animo. Canzoni sulla felicità, sulla tristezza... E' importante per me che vi sia un po' di tutto, di modo che si possa trovare sempre la canzone giusta per lo stato d'animo del momento. Non ci sarà mai una sola direzione.

Ogni volta che i Coldplay hanno pubblicato un nuovo album, subito dopo si sono sempre rincorse voci di scioglimento. C'era qualcosa di vero?

Erano solo pettegolezzi. I giornali, soprattutto in tabloid, hanno bisogno di storie. E quando non ne hanno, se le inventano.

Tra i tanti premi raccolti da A Rush Of Blood To The Head spicca l'americano Billboard Award, in cui avete relegato al secondo posto i Queens Of The Stone Age. Hai una tua spiegazione sul successo dei Coldplay negli Usa? In fondo la vostra musica è ben poco americana, così notturna, intima...

Quando abbiamo iniziato a essere diffusi anche lì, la musica che passavano le radio americane era vera immondizia. Era solo 'sound', chitarre pesanti, non c'era melodia, non c'era canzone. Arrivammo noi con Yellow, una canzone molto melodica, e la gente non potè non notarla e affezionarsi ad essa. Quello è stato il primo passo. Il secondo è stato passare tanto tempo a suonare negli Usa. Un paese enorme, continui spostamenti da una città all'altra, e vedere che i posti dove ci dovevamo esibire erano sempre più grandi. Fino ad arrivare all'Hollywood Bowl, al Madison Square Garden. Non sono molte le band britanniche che vi hanno suonato negli ultimi venti anni. Siamo fieri di questo, ma è stata davvero dura.

Un terzo fattore potrebbe essere il bisogno del pubblico americano di un certo tipo di musica dopo l'11 settembre...

Sono d'accordo sul fatto che dopo l'11 settembre c'è stato più spazio per una musica con più anima.

Prima di A Rush Of Blood To The Head i Coldplay non erano particolarmente impegnati in politica. Durante i giorni della crisi irachena, Chris Martin ha espresso giudizi molto duri su Bush (ai Brit Awards, ndi). Avete discusso tra di voi sull'atteggiamento da tenere in quel momento?

Sì, non era una cosa semplice. In America non ti è permesso esprimere ciò che pensi della guerra. Prima della cerimonia dei Grammy ci è stato detto che se avessimo espresso opinioni 'anti-war', non sarebbero state trasmesse. Così, da un lato volevamo dar voce alle nostre opinioni, dall'altro non volevamo rovinare quel nostro grande successo. Abbiamo deciso di aspettare il momento in cui saremo ancora più grandi, quando nessuno ci potrà toccare, per dire la nostra anche in America.

La canzone Politik si rivolge a chi detiene il potere, chiedendo di venire incontro ai veri bisogni della gente, con onestà. Da quando è stata pubblicata (agosto 2002), sono successe tante cose. Vedi un cambiamento nell'atteggiamento dei politici, nei loro obiettivi?

Non proprio, i politici sono gente malvagia. Sono persone molto attente a nutrire il loro 'ego'. Non sono affatto convinto che chi si dà alla politica lo faccia per aiutare la gente. Vuole semplicemente raggiungere una posizione di potere. In ogni caso, in questo periodo abbiamo passato tanto tempo lontano dal Regno Unito. Non è facile seguire le cose leggendo ogni volta i titoli dei giornali di nazioni diverse.

Cosa pensano i Coldplay di Tony Blair?

Il principale argomento di discussione su Blair è la sua alleanza con Bush nella guerra, che ha letteralmente diviso l'opinione pubblica in Inghilterra. Blair ha dovuto prendere una decisione molto difficile. Se si pensa che la difesa britannica si basa sull'alleanza con gli Usa, con la macchina bellica americana, si capisce che non schierarsi con Bush avrebbe messo in crisi quel sistema. Era una guerra sensa senso, certo. Ma Blair ha il compito di agire nell'interesse del suo paese.

In un'intervista che ci ha rilasciato di recente, Ian McCullock ha dichiarato che Echo & The Bunnyman sono la principale influenza di band come i Coldplay. La critica invece vi accosta a U2 e Radiohead. Tra l'altro, Ian McCullock ha messo lo zampino in A Rush Of Blood To The Head, come afferma anche una scheda diffusa dalla vostra etichetta...

Questo è un altro pettegolezzo. La verità è che noi abbiamo registrato a Liverpool, nel solito studio. Ian McCullock vive proprio lì, dietro l'angolo. Ogni tanto veniva a salutarci, abbiamo bevuto un bicchiere di vino insieme, ci siamo fumati una sigaretta, ma tutto qui. Abbiamo un atteggiamento molto protettivo verso la nostra musica. Nessuno può metterci il naso, se non noi quattro. Nessuno suonerà mai nulla in un disco dei Coldplay, a parte noi.

Hai ascoltato Hail To Thief, il nuovo album dei Radiohead?

No.

Cosa pensi di loro?

I dischi dei Radiohead sono molto complessi, occorrono due o tre settimane di ascolti per capirli. E in questo momento non ne ho molta voglia, 'on the road' preferisco rilassarmi. Chris invece lo ha ascoltato a lungo, ha detto che è un grande album. Sono una grande band.

Riconosci la loro importanza nell'aver aperto una nuova strada verso gli Usa alle formazioni britanniche?

Sì, certamente. E Chris è stato molto influenzato dai Radiohead.

Avete stabilito una data di riferimento per la pubblicazione del prossimo album?

Come ho detto, entreremo in studio alla fine del 2003. Ci serviranno almeno otto mesi, un anno di lavoro per completare il nuovo album. Non credo che uscirà prima di un anno e mezzo.


Tratta da: Kataweb Musica

Web: www.kwmusica.kataweb.it

Autore: Paolo Gallori

Data: 25 giugno 2003