Emi ai cantanti: "Producete o vi sbattiamo fuori"

Il messaggio è chiaro, semplice e diretto: "Basta con le superstar che ci costano montagne di soldi e non ci fanno guadagnare quanto serve". Guy Hands, il nuovo capo della Emi, una delle quattro grandi multinazionali del disco, non lascia spazio a equivoci e manda a dire ai campioni del pop e del rock che i tempi sono cambiati. E lo fa con un memo diretto ai dirigenti della sua casa discografica, messo in circolazione qualche giorno fa, dove dichiara apertamente la sua intenzione di licenziare gli artisti che non lavorano abbastanza, che non producono, che non scalano le classifiche di vendita.
E' una novità dirompente, non tanto per i piccoli artisti, abituati agli alti e bassi del mercato e a vedere i loro contratti discografici nascere e morire alla velocità della luce, quanto per le superstar, per i personaggi universalmente più noti, quelli che alle case discografiche costano milioni di euro in anticipi, promozione, produzione e distribuzione dei dischi, che improvvisamente si trovano esposti ad una valutazione di "produttività" che fino ad ora non era mai stata considerata.

"Non c'è motivo per non essere più selettivi nello scegliere con chi lavorare", è scritto nel memo datata 31 ottobre, "sono anni che si parla di quello che le case discografiche devono offrire agli artisti e ai consumatori ma non si parla mai, invece, di quello che gli artisti dovrebbero fare per le loro etichette, di come dovrebbero lavorare con le case discografiche. Mentre molti di loro spendono molto del loro tempo lavorando con noi per promuovere, perfezionare, produrre, sostenere la loro musica, alcuni invece sfortunatamente si concentrano solo nelle trattative per gli anticipi che vogliono ricevere. Anticipi che non vengono mai restituiti".

Hands non ha fatto nomi, per ora, ma la stampa inglese ed americana si è immediatamente scatenata con le illazioni, provando a fare due conti in tasca ai big della Emi, cercando di capire chi è in pericolo e chi no. Il nome più "papabile" per il licenziamento è quello di Robbie Williams. Il divo inglese, nonostante sia l'artista solista britannico che ha venduto più dischi nell'intera storia del pop, ha fatto mancare i risultati che la Emi attendeva con il suo ultimo cd, "Rudebox", che non ha scalato le classifiche e, addirittura, è stato superato nelle vendite dal disco dei suoi ex compagni Take That. Williams ha ottenuto nel 2002 80 milioni di sterline dalla Emi, quando ha firmato con loro il contratto che lo lega ancora alla casa discografica.

Altrettanto preoccupante è la situazione dei Coldplay, che mancano all'appello dal 2005, quando uscì il loro "X&Y". Tali erano le attese da parte della Emi per quell'album che, quando la band annunciò che il disco non era ancora pronto e che non sarebbe uscito nel 2004, l'anno in cui era previsto, le azioni della Emi andarono a picco. Se il loro nuovo album, che stanno registrando con il produttore Brian Eno, non dovesse essere all'altezza della loro fama e del loro precedente successo ("X&Y" ha venduto 8 milioni di copie), il loro futuro con la Emi sarebbe a rischio. Ma l'attesa più grande è quella del nuovo album di Kylie Minogue, assente da quattro anni, anche per le sue note vicende personali. La Minogue è per la Emi l'equivalente di Madonna e un eventuale flop del suo album, previsto per fine novembre, potrebbe avere delle conseguenze disastrose per la casa discografica.

Guy Hands è a capo della Emi da poco, da quando il suo gruppo finanziario, Terra Firma, ha acquistato la traballante azienda discografica, e vuole provare a rivoluzionare un mercato profondamente in crisi: "Quello discografico è il peggior business nel settore più competitivo che c'è". Competizione che arriva dal colosso del caffè Starbucks, o dalla Apple di Steve Jobs, o da aziende multimediali come la Live Nation, organizzatori di concerti, che stanno strappando alle industrie discografiche le star più ambite, come ha fatto Live Nation con Madonna. "Dobbiamo cambiare atteggiamento", dice Hands, "prima che sia troppo tardi".

Autore: ERNESTO ASSANTE
Tratto da www.repubblica.it