Lezioni di Rock - Aprite il libro alla pagina Coldplay!

Domenica 13 dicembre 2009 – Auditorium di Roma

Appuntamento all’Auditorium per i coldplayzoners, sfidiamo il freddo e la pioggia e facciamo il nostro ingresso tutti in gruppo, forti del legame che in un istante ci unisce, quando pochi minuti prima non sapevamo nemmeno che facce avessimo. Entriamo ansiosi di sentire e di vedere quanto di loro ancora ignoriamo o forse quanto già sappiamo e ci troviamo di fronte una sala piuttosto piccola e tranquilla, vuota, cosa che forse nessuno si aspettava, ormai siamo abituati alle interminabili file dei concerti che cominciano ore ed ore prima, ma qui non è così, fortunatamente aggiungerei!

Un po’ in ritardo, prendo posizione, alzo gli occhi (e la videocamera!) e sullo schermo si scorge aria di grandi artisti, Michael Stipe e Chris Martin duettano in una magnifica performance di “Man of the Moon”! Curioso inizio, quasi a voler sottolineare che il gruppo di cui si sta per parlare non ha niente da temere di fronte a mostri della musica come i R.E.M., e pochi minuti dopo, arriva la conferma che colui che ci accompagnerà in questa mattinata sembra pensarla davvero in questo modo, facendoci sentire sempre più a casa.

A condurre i lavori sarà Ernesto Assante, mentre l’annunciato Gino Castaldo non sarà presente: Assante sembra simpaticamente tranquillizzato dal fatto che il critico musicale non potrà “cacciarlo dal palco” così come ci racconta.

Silenzio ragazzi, la lezione comincia e in aula non vola una mosca: sembrano tutti presi all’istante dall’introduzione breve, ma molto chiara, che ci viene presentata. E’ un piccolo riassunto degli anni addietro, ovviamente senza il tempo di citare tutti i grandi; cercando di spiegare quella che è stata la storia del rock britannico fino ad arrivare agli anni ’90, dominati dalle boyband come i Take That e le Spice Girls, ma sono anche gli anni degli Oasis, e sul finire del decennio si sente il bisogno, quasi la necessità, di reagire a queste correnti artistiche, portando alla luce un rock diverso, che da alcuni viene considerato triste e malinconico, ma del resto sicuramente più semplice e reale.

E’ così che nascono due gruppi che, inaspettatamente, entrano a grandi passi nella storia del rock britannico: i Radiohead e i Coldplay. Non cercano di fare grandi cose o di affrontare problemi più grandi di loro, lasciano semplicemente spazio alle emozioni della gente, ai sentimenti puri e reali e lo fanno in modo tradizionale senza affidarsi troppo alla tecnologia e alle novità che essa comporta, la loro capacità è proprio quella di saper “raccontare” la musica.

Senza perder tempo, che sembra esser poco a tutti i presenti, gradino per gradino ripercorriamo la storia dei Coldplay: Chris Martin, Guy Berryman, Jonny Buckland e Will Champion.

Partiamo subito dal primo album, Parachutes, e prima di gustarci il loro primo singolo, si sottolinea l’importanza di un elemento che non è assolutamente comune nelle band rock e che invece è parte fondamentale di questo gruppo, il pianoforte; molte delle loro canzoni sono composte al pianoforte così come Paul McCartney fece nei Beatles. Il paragone, azzardato secondo alcuni, per altri è semplicemente un onore.

Ci gustiamo le esibizioni di Shiver in versione ufficiale, e poco dopo una versione di Trouble al festival di Glastonbury 2000 dove è impossibile non notare l’imbarazzo sul volto di un gruppo di ragazzi di fronte a un pubblico così vasto che deve ancora imparare a conoscerli, sono un po’ impacciati nei modi, ma allo stesso tempo convinti di quello in cui credono. Si continua con successi come Yellow, altra perla della loro carriera, stavolta presentata con un esibizione che ci mostra Chris Martin in compagnia di Noel Gallagher.

La lezione scorre sempre più veloce, in parte perchè sembra interessare tutti i presenti e un po’ perchè in realtà l’argomento della lezione dovrebbe essere principalmente il loro ultimo album. Procede con qualche nota tecnica inserita qua e là, come il “trucco” che tanto affascina le folle utilizzato da Chris Martin: stiamo parlando del suo falsetto e della facilità di passare da un tono normale al falsetto, ed è lo stesso Assante a sembrarne preso, al punto da affermare testualmente che “sposta il sentimento di una canzone dall’esterno all’interno, racconta un sentimento che esce in maniera diversa” e lo fa in modo eccellente.

Prima di andare avanti con gli anni, nota di merito ai Coldplay che a differenza di molti altri gruppi o artisti degli ultimi tempi, non aspettano 4 anni per pubblicare un album, anzi, in 8 anni ne producono ben 4, tutti di eccellente qualità. Questo ci porta immediatamente a parlare del secondo album, A Rush of Blood To The Head, che debutta a soli due anni di distanza dal primo ed è considerato molto più ampio di contenuti e maturo rispetto al precedente.

In questo caso viene scelta una magnifica versione di Politik, accompagnata da un’orchestra sinfonica, un’esibizione tenuta in occasione dei Grammy Awards: in un periodo storicamente non troppo felice, la canzone cerca di raccontare, ancora una volta, il sentimento della gente e lo esprime attraverso la sua struttura non solo attraverso i testi, con i suoi forti contrasti, che vanno dal senso di libertà e di apertura, trasmessi inevitabilmente dal suono del pianoforte, alla rabbia e al senso di impotenza espressi invece da un ritmo incalzante. E’ la conferma che la loro forza sta nel carpire e raccontare egregiamente quello che proviamo nella vita di tutti i giorni, nel vedere ciò che ci accade intorno perché, in fondo, è qualcosa che condividiamo tutti, compresi loro.

Senza interruzione passiamo ad uno dei brani più romantici dell’album, The Scientist, per poi ricaricarci con In My Place, un altro dei pezzi forti; entrambi ci aiutano a comprendere come questo album sia un successo a livello mondiale che porta i Coldplay sempre più in alto. Ormai ognuno di noi ha in sè qualcosa o qualcuno che si rispecchia in loro e nella loro musica forse perchè trasmette una sensazione di familiarità che pochi al giorno d’oggi sono in grado di dare così intensamente.

Il terzo album, X&Y, viene introdotto come il risultato di un periodo un po’ critico per la band, che tarda nell’uscita e esordisce con un brano che a primo impatto sembrerebbe un po’ finto, troppo elaborato, prodotto con lo scopo di soddisfare le richieste del pubblico come un qualsiasi gruppo rock che tende a fare “musica di consumo” a dispetto del grande lavoro di cantautorato che invece sarebbero in grado di realizzare; si tratta di Speed of Sound e, puntualmente, ce ne viene fornita un’ esibizione live di tutto rispetto.

Poco dopo Assante ci racconta di essersi ricreduto, dopo aver ascoltato più volte il brano e il resto dell’album, rivalutando il fatto che magari era semplicemente un tentativo di fare qualcosa di diverso che non è andato così a buon fine, eppure, ci confessa anche che in questo stesso disco sono presenti due tra le più belle canzoni inglesi pop/rock mai scritte e che in qualche modo rappresentano, insieme all’intero album, un punto di passaggio per i Coldplay, l’inizio di un cambiamento volto ad allargare il loro universo, a creare qualcosa che non sia solo di intrattenimento, ma più incisivo, che li porti ad essere capofila di qualcosa che finora non si era mai visto o sentito e probabilmente è ciò che avviene con l’ultimo album prodotto fino ad oggi.

In particolare i brani a cui è tanto legato sono Fix You e What If, e qui, vi confido che era praticamente evidente a tutto il pubblico, che sul palco sembrava esserci un fan sfegatato più che un presentatore, uno di quelli che ad un concerto urlerebbe di gioia con le mani al cielo fino all’ultima nota, trasportato più che mai dalla dimensione alternativa che ci fa vivere Fix You; ce lo dimostra il fatto che durante la proiezione, lui stesso fosse visibilmente “trattenuto”, fisicamente parlando, dall’agitarsi per l’eccitazione accennando tutto il tempo a dondolii con la testa a tempo di musica.

Credo sia un’opinione condivisa da tutti noi quella che ci viene proposta, si parla di canzoni che ti fanno credere che tutto può essere risolto, che ti cambiano la vita, anche solo per 3 minuti, ma lo fanno.

A questo punto dovrebbe esserci What If e sembrano esserci dei problemi a trovare la traccia sul computer, ma grazie all’acuta vista di un utente del nostro forum, Giovanni, che indica il punto in cui si trova, abbiamo il piacere di guardare anche quest’altro capolavoro, una canzone simile alla precedente nello stile, ma diversamente apprezzata perché si racconta da un altro punto di vista.

Ci avviciniamo ormai all’ultimo album, Viva La Vida or Death And All His Friends, introdotto lodevolmente citando di nuovo i Beatles, Assante paragona l’album a Sgt. Pepper Lonely Heart Club Band e si concede di ritenere simili questi due gruppi in poche semplici parole che li rappresentano alla perfezione: entrambi puntano a colpire e ad accontentare una generazione intera, che va dal cultore raffinato alla ricerca di nuove armonie, al semplice cultore di pop che casualmente li trova in radio e vuole ascoltare una bella canzone, i Coldplay sembrano essere gli unici in questo periodo alla ricerca di tutto ciò, forse anche inconsciamente.

L’ultimo disco risente molto dell’influenza di Brian Eno, in modo nettamente positivo, e accompagna i Coldplay nel momento di massima creatività, arricchendoli di una miriade di suoni e strumenti nuovi, che provengono un po’ da tutto il mondo, portando un’innovazione che negli ultimi anni difficilmente si è vista. Migliora non soltanto il suono, ma anche l’impatto dei live e la loro scelta, forse un po’ rischiosa, di affidarsi a Brian Eno, viene ripagata immediatamente e tuttora prosegue nel suo cammino verso la vetta.

In sala sembrano tutti molto calmi, forse tutti tranne noi che sappiamo cosa ci apparirà davanti fra qualche istante, mi correggo, oltre noi c’è un'altra persona che freme nell’attesa e non prova vergogna ad ammetterlo,è proprio lì sul palco a farci da insegnante per un giorno.

Il primo brano che ci presenta è Viva La Vida, al termine del quale, ci fa notare una differenza, almeno agli occhi di chi li conosce, molto evidente: è musicalmente diverso rispetto ai lavori precedenti, “tutto in tono maggiore” come definisce lui, pieno di strumenti, tra i quali spiccano più di tutti gli archi che fanno decisamente un lavoro fondamentale per il brano e per l’album.

Con sorpresa di molti di noi, il secondo brano in esame è preso da Prospekt’s March, l’ultimo EP prodotto dai Coldplay solo un’anno dopo l’uscita dell’album, e non è il più famoso, anzi, si tratta di Now My Feet Won’t Touch The Ground, frase che ricorre più di una volta in questo periodo; così come negli album precedenti, Chris sembra avere sempre una frase ricorrente che troveremo in più di un brano all’interno dello stesso album, e tutto ciò, non è sfuggito alle orecchie di Assante, da buon ascoltatore e buon fan direi.

Per spiegare ancora meglio quello che è il mondo dei Coldplay, ci descrive la loro musica come un mondo raccontato in modo meno superficiale rispetto a tanti altri cantanti “di consumo”, un mondo meno deprimente dove i rapporti umani non sono distrutti da quello che ci circonda e l’esempio calzante arriva con Lost, un brano che già dalle prime parole colpisce per la sua essenza, è una rappresentazione perfetta del cambiamento che avviene in loro e nella loro musica, con ritmi nuovi, che coinvolge diverse culture e trasmette un messaggio senz’altro positivo verso il futuro.

Il brano che segue comunica allo stesso modo questo cambiamento, Lovers In Japan, e ci porta verso la conclusione di questa giornata, verso una band rinnovata, più a colori con un brano proveniente da Prospekt’s March, ma che troviamo in versione strumentale come apertura dell’ultimo album: si tratta di Life In Technicolor ii. Pare che, secondo molti, sarebbe stato questo il pezzo ideale per l’apertura di questo ultimo album perchè ci dà la dimensione dello spirito della band e consente di non smettere mai di ascoltarlo…

Siamo ormai ai saluti, ma Assante ci regala un ultimo stralcio di Coldplay, un augurio di Natale da parte di Chris Martin, che si esibisce in una cover di White Christmas davvero suggestiva a cui rispondiamo con un augurio da parte nostra, che ce ne possano essere altre di occasioni come questa, per poter condividere la storia e l’importanza di questa band che non smette mai di sorprenderci...

Un ringraziamento sentito va ad Ernesto Assante, che ha riassunto per quel poco tempo che avevamo, l’intera carriera del gruppo e lo ha fatto davvero con passione, cosa che ci accomuna e che ci rende ancor più piacevolmente colpiti dall’evento a cui abbiamo preso parte.

Francesca (flyxever)