[Straight] Coldplay: Stone-cold hit machine [Straight] Coldplay: Stone-cold hit machine

[Straight] Coldplay: Stone-cold hit machine

Quando una band diventa così importante come i Coldplay – e nessun altro gruppo che possa emergere in questo secolo può essere più grande di loro – a volte si attribuisce il raggiungimento di questo status a qualche forma di compromesso artistico. Siamo diventati talmente cinici da arrivare a pensare che sia quasi impossibile per gli artisti raggiungere il top nel loro campo soltanto con i loro mezzi. Tenendo in considerazione il consenso dei critici su mega star come 50 Cent, Norah Jones e, si, i Coldplay, una persona può ragionevolmente concludere che ognuno di questi artisti si trattenga su qualcosa, reprimendo coscientemente alcune vene artistiche vitali per amore delle vendite. Per farla breve, potreste esservi convinti che questa persone sono solo degli impostori.

Il frontman dei Coldplay, Chris Martin rappresenta un sacco di cose – un frontman magnetico, una macchina nello scrivere riff orecchiabili, la rock star meno minacciosa del pianeta – ma difficilmente può sembrare un truffatore. Se le hit della sua band sembrano come disegnate per convincerci che la vita, dopo tutto, non è poi così brutta, ciò non deriva dal fatto che Martin sia un freddo manipolatore. In realtà è solo sè stesso.

Nato nel 1977 da genitori della middle-class inglese nel Devon, Martin è cresciuto facendo quello che molti ragazzi delle cittadine inglesi facevano negli anni 80 e nei primi anni 90: ascoltare gli U2 e sognare Londra. Poco dopo essere arrivato alla University College London – dove ha studiato antropologia per un po’ di tempo – il cantante ha formato una band assieme a tre amici: il chitarrista Jonny Buckland, il bassista Guy Berryman, e il batterista Will Champion. Questo è ciò che succedeva nel 1996, anno in cui il BritPop, un movimento che univa da un lato i villani della classe operaia (Oasis) e dall’altro i tipi più sfacciati e artisti (Blur, Pulp), aveva raggiunto il momento di massima importanza. Ma mentre la popolarità di queste band diminuì verso la fine del decennio, i Coldplay, quattro normalissimi ragazzi che rappresentavano la silenziosa maggioranza degli onesti ragazzi inglesi, di cui a quanto pare non si sente mai parlare, presero il loro posto.

Mentre il BritPop era definito soprattutto dalla illusoria ribellione dei fratelli Liam e Noel Gallagher e dall’acuta ironia di Damon Albarn dei Blur e Jarvis Cocker dei Pulp, la band di Martin ha adottato quella impostata sincerità già prediletta da gruppi simili come Travis e Ocean Color Scene. Da subito i Coldplay hanno puntato ad un grande pubblico, scrivendo il tipo di canzoni che suonano meglio quando ci sono migliaia di persone che le cantano assieme. Anche all’inizio, afferma Martin, i membri della band non erano a loro agio nel suonare in pub di seconda mano e in piccoli nightclub. Stranamente si sente più a suo agio nelle arene.

“Ho sempre sognato di cantare in questo posto”, afferma il cantante inglese subito prima di un concerto a Belfast in Irlanda. “I concerti sono migliori quando ci sono 10.000 persone, puoi fare tutti i giochi di luci e ci sono più “giocattoli” con cui divertirsi. Mi piace l’idea di disegnare il palco e fare tutte le cose che non si possono fare quando si suona in un club, che è poi solo un buco di fumatori e alcolizzati. Quando suoni nelle arene, è come se si avesse un canovaccio su cui scrivere il concerto. Mi ha sempre attirato la possibilità di creare qualcosa che sia meglio di Cats on Ice”.

Questa citazione tipica di Martin è contrassegnata da una fusione di spavalderia e autolesionismo che sembra trasudare in ogni sua intervista. In un momento il cantante parla eccitato delle nuove canzoni dei Coldplay, e dice “spazzeranno via il tetto del mondo”, poi, pochi secondi dopo, quando gli viene chiesto che contributo hanno dato lui e gli altri membri della band alla storia del rock, ammette che non hanno aggiunto niente. Tenendo buona questa conflittuale considerazione di sè stesso, Martin ha raccontato l’anno scorso a Rolling Stone che reputa lui e i suoi compagni dei “plagiatori incredibilmente bravi”, un’affermazione supportata dalle canzoni del loro ultimo album, X&Y. Quando si parla di Coldplay, i critici ritornano sempre sul debito che la band ha nei confronti degli U2, puntando sulla grande capacità oratoria di Martin, sui rintoccanti giri di chitarra di Buckland e sul modo così melodico di suonare il basso di Berryman. Ma con questo non si esauriscono gli ampi riferimenti di X&Y; prendete ad esempio “Fix You”, che contiene suoni da organo liturgico alla Radiohead, un crescendo di chitarre che richiama un moderato Mogwai, e un finale da cantare tutti assieme abbracciati che ricorda il BritPop di Manchester dei predecessori James.

L’allusione più sorprendente dell’album è quella a Johnny Cash, per il quale Martin aveva scritto la canzone finale dell’album “’Til Kingdom Come”, una sublime e fedele interpretazione della vulnerabile mascolinità dell’icona country. Quella canzone, più di qualsiasi altra che abbia mai scritto, suggerisce che Martin potrà solo migliorare se il suo quadro di riferimenti continuerà ad espandersi.

“Credo che se si prendono spunti da fonti abbastanza diverse, si può passarla liscia”, afferma a riguardo della sua serie di “furti”. “Mi piace essere un plagiatore. Quando leggi di Bob Dylan scopri che l’ha sempre fatto con le vecchie tradizioni Americane. E’ una tradizione di tutte le forme di arte orale e parlata – si costruisce su quello che c’è stato prima. Solo che nella musica ci sono solo molte note da suonare”.

Martin ha ragione solo a metà però; Bob Dylan (come tutti gli artisti) è in debito con chi è venuto prima di lui, ma se non avesse sviluppato il suo stile formale e narrativo – se non avesse messo nella sua musica qualcosa di profondamente personale – non sarebbe niente di più che una nota a piè di pagina nella storia. Quindi se Martin dovesse morire domani sarebbe ricordato per le sue due hit che hanno conquistato il mondo (“Yellow” e “Clocks”), per i suoi successivi tre album più raffinati e consistenti, e per essere stato il marito di Gwyneth Paltrow. Non male sicuramente, ma le sue realizzazioni musicali danno solo uno spunto di cosa le sue melodie – che sono tra le più appassionate nella musica pop degli ultimi 15 anni – potranno un giorno raggiungere, se solo accettasse la sfida.

Martin insiste sul fatto di riuscire a portare avanti questo suo privilegio responsabilmente. Quando gli viene detto che i suoi obiettivi di andare in tourneè e la sua vita in famiglia non gli lasciano probabilmente troppo spazio per lavorare alle canzoni, controbatte affermando il contrario.

“Verrebbe da pensare questo, ma nel mio caso non è completamente vero”, dice. “Creo in continuazione perché è l’unica cosa che sono in grado di fare. Scrivere canzoni è l’unica via che mi permette di dare un senso ad ogni cosa nella mia vita – del perché sono nato in Inghilterra nel 1997 al posto, per dire, dell’Africa nel 1526. Nel mezzo della notte sono sempre sveglio e penso fra me e me ed è il momento in cui la prospettiva si compone. Osservo tutto quello che mi è stato dato nella vita e mi rendo conto di quanto sia importante fare qualcosa di significativo con questo. Credo sia un obiettivo migliore che cercare di capire quante case posso comprare”.

Martin è fortunato, e lo ammette apertamente. Nonostante la fama che hanno raggiunto da soli, lui e la Paltrow continuano a mantenere una vita tranquilla, almeno stando all’assenza di copertine su di loro nel tabloid. A dire la verità Martin è più oggetto di cecchinaggio da parte dei commessi dei negozi di musica che dei colonnisti del gossip, e per quanto possa essere sollevato per la sua assenza dalle pagine di Us, gli attacchi delle Web zines nei confronti della sua band lo preoccupano parecchio.

“Cerco di non badarci ma è difficile scappare”, dice facendo una panoramica di routine dei giornali. “Potresti essere lì a leggere un giornale di macchine in cui un giornalista paragona qualche macchina bruttissima alla tua band. Quindi è inevitabile. Più successo abbiamo più critiche ci vengono mosse e conseguentemente più ragioni abbiamo per cercare di metterci alla prova”.

Le lamentele nei confronti di questi ragazzi inglesi sono generalmente dirette ai testi di Martin e all’euforica luminosità della loro musica. Proviamo a trattare questi argomenti (certamente in modo ridotto) uno alla volta. Il primo, riguardante i testi, sostiene che il compositore è praticamente irrilevante.

Data la sua occasionale tendenza a mischiare metafore, Martin non è probabilmente un poeta a livello di Dylan, ma non ci sono nemmeno molti cantautori di cui valga la pena leggere i versi. In fin dei conti stiamo parlando di musica, e anche se sarebbe bello che potesse prendere come spunto T. S. Eliot, non cambierebbe il fatto che per Martin le parole sono semplicemente un veicolo elaborato per creare una melodia.

Per quanto riguarda il sound dei Coldplay, gli arrangiamenti e le scelte produttive della band danno a tutte le loro canzoni una qualità sicuramente ricca, come se fosse trasmessa da sopra le nuvole. Questo stile va contro i trend prevalenti della musica rock acclamata dai critici, rappresentata dal primitivismo alla moda di gruppi quali gli Animal Collective. Se pensate che la credibilità musicale richieda necessariamente la presenza di distorsioni e urla, allora non apprezzerete mai i Coldplay. E avrete anche una visione impoverita della bellezza in tutte le sue forme.

Tuttavia, se i Coldplay vogliono ottenere il loro posto nell’olimpo della musica, dovranno spingersi oltre le strategie che hanno reso la band così famosa. Da questo punto di vista Martin ha dimostrato una spiccata capacità a scrivere pezzi che, prendendo a prestito una frase del critico americano Geoffrey O’Brien “rendono desiderio e realizzazione più o meno la stessa cosa”. Anche Martin si rende conto che l’allargamento della sua tavolozza tonale è necessario ma non facile da ottenere.

“Il fatto è che ho come un chip in me che non vuole che una canzone finisca in diminuendo”, dice. “Anche quando stiamo perdendo un po’ di tempo in studio suonando un po’ di funk improvvisato, io voglio sempre mettere una sequenza di accordi alla fine per tirare un po’ su la canzone, per completarla, per far si che la canzone sia un cerchio completo. Ed è una cosa che è ben fissa nella mia testa quando scrivo”.

Tuttavia il cantante ammette che dopo X&Y – un album che ha virtualmente replicato il tono sconfinato del loro secondo album AROBTTH – la band deve esplorare nuovi territori.

“Siamo ormai ad un punto in cui dobbiamo fare qualcosa di diverso”, dice. “Dobbiamo raggiungere il bilanciamento tra sfruttare le nostre forze o semplicemente ripeterci. Per il prossimo album dobbiamo riuscire a togliere questo chiavistello dalla bilancia”.

Non serve leggere troppo tra le righe per intuire la determinazione di Martin di voler sperimentare in futuro. Data la sua natura pragmatica, il cantate non promette tout-court di gettare via la chitarra, lasciando presagire che se il prossimo album romperà lo stampo, lo farà con molta cautela.

“Provare a fare qualcosa di nuovo è l’unica cosa che ci fa andare avanti”, dice. “Ma allo stesso tempo non credo che fare qualcosa di strano sia valido per forza. La ragione per cui Kid A dei Radiohead è così talentuoso è la presenza di alcune melodie e canzoni meravigliose, presentate in modo innovativo. Al posto di suonare le canzoni subito senza pensarci, hanno preso quelle bellissime canzoni e ci hanno lavorato su in modi interessanti. E’ questa la via che dobbiamo seguire”.

Ciò significa che, tanto per iniziare, è probabile che il gruppo licenzierà i produttori Ken Nelson e Danton Supple, i due uomini responsabili del lavoro sui “prodotti” finali dei Coldplay. Tra i candidati che Martin sogna per questa posizione ci sono Brian Eno e Timbaland; il primo ha già lavorato per la parte dei sintetizzatori di Low in X&Y, mentre il secondo ha sempre espresso il desiderio di lavorare con il quartetto. Dato il loro status (e il loro budget), i membri della band sono nell’invidiabile posizione di registrare le loro canzoni con qualsiasi produttore sceglieranno. Indipendentemente da chi riceverà l’incarico, gli chiederanno solo di avere una certa percentuale di controllo per sé stessi – come nel caso degli U2, le cui collaborazioni con Brian Eno e Daniel Lanois hanno portato ai migliori album della loro carriera, partendo da The Unforgettable Fire del 1985. Quando gli viene chiesto se prevede di lasciare un po’ andare la presa del volante, Martin afferma che tutto dipenderà da chi ci sarà accanto nella corsa.

The Unforgettable Fire è il quarto album in studio degli U2. Il prossimo lavoro dei Coldplay sarà il quarto. Se i quattro ragazzi inglesi aspirano ad uguagliare i loro predecessori, è questo il momento in cui le cose cominciano a farsi interessanti. Nessuno freme di più a questa prospettiva che lo stesso Martin.

“In questo momento sono esaltato dalla musica come mai prima”, dice. “Più musica ascolto, più musica leggo, più mi viene voglia di suonare e cantare. Mi sono messo in testa di provare a scrivere la migliore canzone di sempre, ma non credo che siamo ancora riusciti a farlo. Non sto necessariamente dicendo che possiamo farlo. Sto solo dicendo che continueremo a provarci”.

[Un particolare ringraziamento a Denise (Iriden) per la traduzione]

[Articolo tratto da Straight]