[The Big Issue] Chris Martin e 'Make Trade Fair' [The Big Issue] Chris Martin e 'Make Trade Fair'

[The Big Issue] Chris Martin e 'Make Trade Fair' - periodo AROBTTH

Ecco un’intervista al cantante dei Coldplay, Chris Martin, il quale sostiene, assieme al suo gruppo, ‘Make Trade Fair’ fin da quando questa campagna sociale è stata lanciata, ossia dall’aprile del 2002.

Perchè ti sei interessato alla campagna del Make Trade Fair?

La ‘Oxfam’ ci è venuta a parlare mentre stavamo registrando A Rush of Blood to the Head e ci ha chiesto di impegnarci per una campagna che aveva (e che ha) come obiettivo quello di migliorare le leggi sul commercio e le condizioni dei lavoratori nel mondo. Credo che in quel periodo ne avevamo veramente abbastanza di parlare esclusivamente della band per tutto il tempo, e ci sentivamo come se dovessimo impegnarci in qualcosa di positivo e importante, per cui è stata un’occasione perfetta.

Secondo te, i fans dei Coldplay sono più interessati ai problemi del commercio equo rispetto alle altre persone ‘comuni’?

Non ne ho idea. A volte quando suoniamo vedo t-shirt e cartelloni su quest’argomento, ma poi vedi anche altre cose strane su altre t-shirt e altri cartelloni. Cerchiamo di nominarlo spesso, probabilmente fino al punto che alcune persone preferirebbero, invece, che stessimo zitti. Quindi credo che la maggior parte dei fans dei Coldplay ne abbiano sentito parlare, e penso segretamente che gli importi tanto quanto importa a noi, perché tutti sanno che i fans dei Coldplay sono le persone più fighe del mondo!

C’è qualche motivo per cui i testi dei Coldplay non riflettono in realtà il tuo credo politico? Preferisci tenere musica e politica separate?

Non c’è una ragione razionale, vengono fuori così come sono. Un giorno forse la cosa potrebbe cambiare, ma non possiamo predirlo. Credo comunque che spesso prendiamo la strada più semplice e cantiamo canzoni sulle ragazze.

Che effetto sperate abbia la ‘Big Noise Petition’?

Se va tutto bene, avrà effetto sulla coscienza e anche sul senso degli affari di alcuni uomini importanti e di quelli che stabiliscono prezzi e flussi del commercio. Se prendiamo in considerazione il lato economico, un commercio non equo non porterà benefici a nessuno nel lungo termine, dato che ai Paesi più poveri sarà succhiato tutto il sangue e non saranno più in grado produrre nient’altro. Allo stesso modo, sarebbe bello pensare che società come la Nestlé aumenterebbero gli standard qualora pensassero che la base dei loro consumatori iniziasse ad indagare sui diritti dei lavoratori e sulla distribuzione dei profitti. In tal senso, i consumatori andrebbero contro la multinazionale…

Speri che la situazione del commercio mondiale possa cambiare entro i prossimi 20 anni?

Spero che le società occidentali con basi di produzione all’estero siano forzate ad innalzare gli standard e condizioni di lavoro – tutti sanno delle aziende che sfruttano i propri lavoratori – e spero che inizino a pagare prezzi più equi per le materie prime che acquistano. La differenza di prezzo che paghiamo noi nei negozi per prodotti come zucchero, caffé e cacao, correlata all’ammontare di denaro che le persone che le producono originariamente ricevono, è alquanto scioccante. Sarebbe davvero bello se fossero introdotte delle leggi per fermare la produzione sottocosto, a causa della quale i produttori locali nei paesi più poveri a mercato libero sono tolti dal gioco da importazioni a prezzo inverosimilmente basso dai paesi occidentali. Ad Haiti, ad esempio, i coltivatori di riso combattono per competere con il riso americano importato, che offre un minor prezzo. Questo succede solo perchè i coltivatori americani producono di più grazie ai sussidi, e quindi non devono pagare nessuna tassa d’importazione quando vendono ad Haiti. I coltivatori haitiani, invece, devono pagare delle tasse molto alte quando esportano verso i Paesi occidentali.

Tu e la tua band intendete estendere il vostro impegno anche verso altre campagne?

Siamo d’accordo con moltissime altre cose, ma preferiamo focalizzarci sul ‘Fair Trade’, innanzitutto perché è un problema che sentiamo molto, e in secondo luogo perché non vogliamo diluire il nostro impegno seguendo troppe cose.

Tratta da: The Big Issue

Data: 11-17 Agosto 2003