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Roadie #42 - Blog #148

In cui #42 se ne sta seduto a bordo piscina e ci narra racconti del Brasile

Andare in tour è un'attività strana. Solitamente la gente crede che si tratti solo di viaggi esotici e hotel appariscenti. Come una lunga vacanza di lusso con qualche concerto qua e là. La realtà è in qualche modo più sporca e impegnativa, e fa si che i giorni in cui *è* veramente come una vacanza siano davvero una sorpresa.

Oggi, ce ne stiamo distesi a bordo piscina a Buenos Aires godendoci quello che possiamo definire come il risvolto migliore della giornata. Abbiamo 12 ore da passare tra i voli da Rio De Janeiro e Città del Capo. Il DJ sta mixando jazz tradizionale con funk degli anni '60 molto d'avanguardia. Il vino scorre e il sole sta dando il meglio per farci davvero del male.

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All'inizio di tutto, oggi sarebbe dovuto essere un giorno piuttosto duro. L'ultimo concerto è finito tardi quando era già mattina e il volo è partito molto presto - quindi poco sonno se non nullo. Avremmo dovuto passare le dodici ore in aeroporto con i soli seggiolini di plastica e il duty free come intrattenimento. Oggi è una luminosa micro-vacanza, in parte in onore del compleanno della assistente della band, EJ. E' a pochi passi alla nostra destra che festeggia cercando di fare il giocoliere con un paio di iPhone che ronzano in modo insistente con un attacco di richieste e domande da tutti i continenti.

A volte è meglio non cercare di capire fino in fondo come siamo arrivati fin qui. Solo per godercelo prima che scompaia.

Tornando indietro di uno o due giorni, siamo stati in Brasile.

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Il Rock in Rio festival è una affare piuttosto importante. Mi ricordo di aver visto delle registrazioni in TV molti anni fa quando andare in tour per mantenermi era solo uno stupido sogno. (Al contrario di adesso, che è solo una stupida realtà) Mi ricordo che allora pensai che le persone che se ne stavano in fondo al pubblico avevano sicuramente dei problemi a vedere il palco per colpa della curvatura della terra da quanto erano lontani.

Mi è stato detto che ieri c'erano circa centomila persone. Guardando dal palco, il cervello smette di cercare di comprendere questo numero, e non va oltre "c'è un bel po' di gente là fuori". Forse è un meccanismo di sopravvivenza quando hai un lavoro da fare? Comunque sia, i miei occhi capiscono, ma il mio cervello si rifiuta di crederci.

La situazione è vagamente apocalittica là fuori. Ci sono enormi torri con riflettori che continuano a illuminare la massa di gente. Per ragioni che avranno sicuramente senso per qualcuno da qualche parte, c'è una corda sospesa che manda da una parte all'altra, sopra le teste del pubblico, delle persone che salutano e urlano impazzite. Parte molto alta alla destra del pubblico, passa a circa cinquanta metri di fronte al palco, per terminare dall'altra parte del campo. Qualcosa mi dice che le regole sulla salute e sulla sicurezza in UK renderebbero difficile riproporre lo stesso a Glastonbury.

Il pubblico in sè è completamente pazzo. L'America Latina è ben conosciuta per avere un pubblico rumoroso ed entusiasta. In realtà non è stato nemmeno necessario arrivare al concerto per ricordarcelo. Sotto i balconi del nostro hotel c'è un gruppo di persone che si sono riunite il giorno prima del concerto per passare il giorno intero applaudendo e cantando canzoni dei Coldplay a squarciagola.

In maniera incoraggiante, le nuove canzoni sono le più gettonate.

Il concerto è stato mandato in streaming, quindi c'è poco di nuovo che io possa aggiungere. Mentre i fuochi d'artificio si calmano e gli applausi rieccheggiano, le macchine che ci riporteranno il hotel partono scortate dalla polizia. Ci sono quattro macchine e mezza dozzina di moto della polizia. Percorriamo la superstrada ad una velocità allarmante commentando come la maggioranza dei motociclisti qui paia trovare il casco un po' fuori moda e non necessario.

All'improvviso una moto si affianca a noi. Non solo il conducente è senza casco, ma ha anche un passeggero che ci saluta mentre corrono alla nostra stessa velocità. Decidono di infilarsi nella scorta della polizia, nonostante il fatto che i quattro SUV abbiano i lampeggianti accesi e siamo a poca distanza gli uni dagli altri.

Il nostro autista, che avevo iniziato a sospettare fosse leggermente più squilibrato della media, accelera, costringendo la moto ad avvicinarsi al paraurti del veicolo di fronte.

"Hey, vai con calma ragazzo."

Mentre la macchina davanti accelera, il nostro autista si porta in testa e avanza dietro la ruota posteriore della moto, lasciandogli pochissimo spazio libero. Lo fisso stupito, convinto che quando saremo arrivati in hotel avrà ucciso almeno un paio di persone, se non tutti noi. La moto si sposta nella corsia interna e sia il guidatore sia il passeggero gesticolano appassionatamente.

Nonostante la considerevole barriera linguistica, mi ritrovo a non avere nessuna difficoltà a capire il messaggio. Pare che alcune cose siano universali...

Come bis la nostra intrepida auriga si muove velocemente sul lungomare e si dimentica completamente di frenare quando il veicolo di fronte si ferma ad un semaforo. Istintivamente chiudo gli occhi e l'impatto arriva con un forte scricchiolio. La macchina davanti, in cui ci sono il tour manager Franksy e ospiti vari, riparte con difficoltà con un paraurti ammaccato. Nella nostra ci siamo solo io e il tecnico del suono Dan Green. Siamo a pochi passi dall'hotel e questo punto decidiamo che farci una passeggiata ci farà bene.

E così arriviamo alle 3.30 del mattino. Il ritrovo nella lobby per il volo per Buenos Aires è alle 6.45. Dopo aver preparato le valigie e un paio di ore di sonno partiamo per l'Argentina. Ed eccoci tornati alla piscina da cui avevamo iniziato questo messaggio. Mi scuso se lo schema cronologico sembra un po' contorto, ma anche per me è lo stesso.

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